di Carmelo Riccotti La Rocca
Nel periodo dell’emergenza sanitaria e della paura di dover lottare contro un nemico invisibile e ignoto, stanno emergendo tante belle storie di solidarietà e umanità. Ci sono persone che per lavoro o, semplicemente, per puro spirito di contribuire in qualche modo ad una causa collettiva, riescono a trovare il modo per rendere un servizio alla comunità.
Tra queste storie ce n’è una che merita sicuramente di essere raccontata perché parla della grande generosità di un ragazzo che nel suo percorso di vita ha affrontato tante difficoltà, inimmaginabili per i coetanei italiani, e oggi ha deciso di mettere la sua professione a servizio della comunità, un modo, a suo avviso, per ricambiare chi lo ha accolto e gli ha dato serenità. Il protagonista di questa storia, che arriva da Scicli, è Mohamed, un giovane siriano che sei mesi fa, insieme alla famiglia, è arrivato in provincia di Ragusa grazie al circuito dei corridoi umanitari della Federazione delle chiese Evangeliche in Italia.
Mohamed e la sua famiglia provengono da Aleppo e sono scappati da una guerra lunga e sanguinosa che li ha privati di tutto: di beni immobili, ma anche di sogni e speranze. A Scicli sono stati accolti dal Mediterranean Hope – Casa delle Culture che ha dato loro un posto dove stare e una serenità persa tra le bombe. La Casa delle Culture di corso Mazzini è diventata la sua casa e lì Mohamed ha cominciato un nuovo percorso di vita, intrecciando nuove relazioni e prendendo confidenza con la lingua per riuscire ad esprimersi al meglio anche nel suo lavoro.
Prima che in Siria scoppiasse la guerra, Mohamed, che adesso ha 34 anni, faceva il sarto, ma con l’inizio delle rivolte, sfociate in guerra civile, ha dovuto lasciare il suo lavoro. Le sue mani hanno smesso di cucire e creare vestiti per essere impiegate nella ricerca di cadaveri. Per almeno 4 anni, dal 2012 al 2016, Mohamed ha pensato solo a sopravvivere e le sue priorità sono diventate altre, come ad esempio cercare cibo o evitare i crolli, insomma il suo obiettivo, e quello di tutta la sua famiglia, era quello di rimanere vivo.
Ritrovarsi da un giorno all’altro sotto le macerie non poteva accadere in Siria, era impensabile. Così come era impensabile che l’Italia venisse letteralmente ammutinata da un nemico invisibile: il Covid 19. Vedendo quello che sta accadendo e leggendo negli occhi la paura di chi si è ritrovato ad affrontare un’emergenza mondiale che costringe tutti a stare a casa e vedersi privati di una libertà mai negata fino ad oggi, Mohamed si è chiesto cosa avrebbe potuto fare per i suoi amici della Casa delle Culture, ma anche per l’intera comunità. Ha deciso così di rispolverare il suo vecchio mestiere e di realizzare uno dei beni al momento più richiesti ed introvabili: le mascherine. Munitosi di macchina da cucire, forbici, ago e tutto l’occorrente, dalle stanze del Mediterranean Hope, Mohamed ha iniziato a costruire mascherine. Per lui realizzare 30 mascherine al giorno è un passatempo che lo riporta indietro negli anni, a quel periodo in cui anche in Siria poteva espletare la sua arte: tagliare stoffe, assembrare tessuti, reinventare materiali.
Il 34enne Mohamed non parla l’italiano, si esprime solo nella sua lingua, ma grazie all’intercessione del mediatore ci spiega che è molto contento di potersi rendere utile; per lui è un modo di dire grazie alle persone che lo hanno accolto, non riferito ai soli componenti e ospiti della Casa delle culture, ma a tutti gli italiani. Con la speranza che tutto questo finirà presto, il 34enne siriano continuerà a cucire mascherine fin quando ci sarà richiesta e potrà accontentare i suoi amici.
Mohamed è tornato a utilizzare le proprie mani per fare qualcosa di bello, non più per scavare tra le macerie e dare una degna sepoltura a familiari e vicini caduti sotto le bombe degli integralisti islamici. Lui sa bene cosa sono le restrizioni, le ha dovute vivere non da un divano, ma sul fronte, lottando ogni piccolo istante per assicurarsi di potersi svegliare vivo il giorno dopo. Mohamed sa anche che cos’è la sofferenza vivendola sulla propria pelle ed è per questo che ha voluto ingegnarsi per trovare un modo che potesse alleviare le preoccupazioni di chi si sente inerme di fronte a questo virus che sta mettendo in ginocchio l’occidente. “Le restrizioni a cui siamo costretti, l’isolamento, i sacrifici- commentano dal Mediterranean Hope- ci impongono delle riflessioni per il futuro. Mohamed con il suo lavoro sta contribuendo al nostro presente, un presente che è impegnato a scrivere il futuro”. Quando finirà l’emergenza, la società sarà chiamata ad interrogarsi sulle priorità e a ricordarsi chi, eroi e non, non si sono tirati indietro nel momento del bisogno contribuendo, ognuno per le proprie possibilità, alla causa comune.
(Pubblicato anche su “La Sicilia” del 10 aprile 2020, edizione di Ragusa)