PASSO DEL MONGINEVRO: GARDE À VUE PER DUE REPORTER ITALIANI AL CONFINE FRANCESE

di Davide Blotta

Lunedì 5 Aprile, Valerio Muscella, fotografo residente a Roma e Michele Lapini, freelancer toscano e residente a Bologna, vengono fermati da alcuni gendarmi che si nascondono tra i rovi. È notte e i reporter, pur non sapendo, hanno appena calpestato il confine francese. Valerio e Michele fotografavano un gruppo di giovani migranti avanti a loro, cinque ragazzi provenienti dall’Iran, dall’ Afghanistan e dalla Siria. I reporter seguivano a distanza il gruppo quando entrambi sono stati arrestati e condotti in caserma in territorio francese. 

Notte in cella, “ci hanno lasciato su una panca con una coperta”. Separati in due celle distinte previo sequestro di cellulari, cinture e oggetti affilati, i giornalisti vengono accusati di essere “Passeurs” – trafficanti di persone -. L’accusa rivolta, quella di favorire l’ingresso di migranti in territorio straniero, è troppo spesso uno strumento di identificazione, repressione ed espulsione delle persone che si occupano di testimoniare le atrocità del confine alpino. È infatti notizia conosciuta quella che vede l’arresto, il rilascio, il processo e, come di recente verificatosi, l’assoluzione di molti e molte maraudeurs francesi, soprattutto, e italiani, al confine delle Hautes Alpes.  Tuttavia, il caso di questa Pasqua, seppur ricondotto a dinamiche di espulsione di confine (i migranti fermati sono stati immediatamente espulsi in Italia), rischia di rappresentare anche un grave deterrente per chi si occupa di informazione. 

Valerio e Michele infatti, vengono da un reportage compiuto sui Balcani a testimonianza delle repressioni sul confine serbo-bosniaco. Foto che hanno immortalato le lunghe carovane di migliaia di persone, ora 4000, rimaste bloccate dai respingimenti sotto la fitta neve di questo inverno.


I dimenticati di Lipa, intrappolati nel ghiaccio della Bosnia. Internazionale.it, foto di Michele Lapini e Valerio Muscella.


Una volta in caserma, alle ore 4 del mattino inizia l’interrogatorio per Lapini. Il fotografo deve rispondere a domande per lui estranee: se abbia in attivo un mutuo, se abbia una casa di proprietà, perfino se fidanzato. I reporter non conoscono la lingua, ma l’evento è aggravato dal fatto che apparentemente la polizia francese non sappia tradurre i termini né in inglese né in italiano. Infatti, seppure per i reparti gendarmerie sia prassi che vengano sostituiti di territorio in territorio ogni due settimane, rimane “curiosa”, nel caso delle altre forze di polizia, l’incapacità di tradurre testi semplici in territori di poche migliaia di abitanti, di cui la maggior parte bilingue da generazioni. Ci si chiede a questo punto come si svolgano gli interrogatori con i meno fortunati di queste montagne, i migranti, i quali d’altra parte, dell’impegno di imparare qualche parola, italiana o inglese, si fanno comunque carico. 

Due ore più tardi, alle 6, è il turno di Valerio Muscella. Sebbene le due versioni della vicenda coincidano, gli investigatori sono restii al rilascio. I sospetti cadono sempre sull’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. 

Garde à vue: I giornalisti passeranno la notte e le prime luci dell’alba ancora in cella, sorvegliati da una luce sempre accesa, accompagnati in bagno previo permesso.  

Alcune ore più tardi arriva il via libera del procuratore, sono liberi. Tuttavia, sono liberi a patto di firmare un documento non tradotto, senza alcuna apparente possibilità di ricostruire l’episodio secondo le testimonianze degli accusati. Secondo Valerio Varesi, che per Repubblica è stato il primo a riportare l’accaduto, una volta liberati e contattato l’avvocato Ronchi, quest’ultimo esprime rammarico. “Questo è un fermo”, dice l’avvocato, “che ha dell’intimidatorio”. Secondo la giurisprudenza italiana infatti, qualora non sussistano i casi di fermo per identificazione – i cittadini italiani hanno comunicato le loro generalità, non vi è reato nell’attraversare fisicamente il confine – non vi è motivo, se non per eventuale ipotesi di reato, di trattenere i giornalisti in caserma. Per quest’ultima invece, qualora fosse stata dedotta, avrebbero dovuto attivarsi le corrispettive comunicazioni con notifica ufficiale, cosa non successa, così come per la traduzione dell’interrogatorio e dei documenti fatti poi firmare. Secondo quanto raccolto da Varesi e detto da Ronchi, il fermo non trova reale giustificazione in quanto “non sussistono elementi”, allo stato di cose, “che giustifichino una notte in camera di sicurezza”. 

L’episodio è l’ultimo di un periodo di pedinamenti e intercettazioni ai danni di giornalisti che si occupano di confini e migranti. Il caso di Trapani, seppur risalente a operazioni iniziate nel 2017 (Ministro dell’interno Minniti), ha riportato alla luce solo ora le intercettazioni senza mandato – ovvero senza autorizzazione seguita a eventuali indagini – ai danni di giornalisti/e italiani che si occupavano delle rotte del Mediterraneo. È emerso recentemente il nome di Nancy Porsia, giornalista fondamentale, intercettata nelle conversazioni con il suo legale e le sue fonti dai PM di Trapani senza che fosse indagata o indiziata. 

Sappiamo che le informazioni più sono ostacolate più sono significanti. Queste voci, che percorrono linee immaginarie dalle conseguenze di una notte o di una vita, sono essenziali quanto spesso aggrappate al filo di un rasoio. Gli occhi di Valerio e Michele torneranno a fotografare per certo, lo sappiamo; così come sappiamo per certo che il mare non è una prigione e che le montagne non sono fatte per essere caserme. 

Lasciamo qui una foto del reportage che Michele e Valerio stavano compiendo in Alta val di Susa, pubblicata il giorno prima dell’incidente. La didascalia è di Michele Lapini.

© Ph Michele Lapini

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