di Davide Casella
Comiso – Vittoria, domenica 18 aprile 2021
«Non ho intenzione di fermarmi… Ho progetti per il futuro e voglio realizzarli qui» mi confida Buba, mentre parliamo della giornata che volge al termine. Siamo in attesa delle compagne e dei compagni. Si affrettano a raggiungerci fuori: in realtà non sanno di essere già traditi da una forte e vivace aroma di caffè che anticipa il loro arrivo. «Siamo solo all’inizio» subito fa eco Gasua, appena arrivata al bar con Khouloud, giovani donne militanti dalla contagiosa e forte voglia di fare e lottare.
Complice il primaverile clima soleggiato e temperato, ben lontano da quello grigio che ho lasciato fin dal mattino a Catania, la sensazione che respiriamo è una potente speranza solidale.
Solidarietà ribelle ma non ingenua. Siamo tutti consapevoli delle difficoltà da affrontare e oggi ne sono uscite tante allo scoperto. Gli ostacoli burocratici spesso sono la cornice di soprusi innescati da atti criminali: entrambi i fattori ricorrono sempre nei racconti delle vittime. Ma la forza dissidente, motrice sovversiva dello status quo sociale, è l’eterogeneità di questo gruppo. Entusiasmo e competenze diverse caratterizzano le ragazze e i ragazzi dell’USB di Ragusa, militanti seriamente determinate e determinati ad abbattere le ingiustizie sociali, derivanti dallo sfruttamento del lavoro di quel territorio così intensamente abusato, derubato delle risorse umane e ambientali.


Questo gruppo è anche un mini laboratorio moltitudinario. Ogni militante ha una propria storia, una provenienza diversa, sia culturale che sociale. Chi è nato qui ha studiato altrove. Chi è nato lontano si ritrova legato a quel territorio per difendere i propri fratelli e le proprie sorelle. Ci sono anche militanti figlie e figli di migranti che hanno deciso di vivere nella provincia ragusana, ma a loro volta lavorano o studiano altrove, creando altre interconnessioni umane e territoriali. Tutte e tutti, comunque, si comportano come nodi nomadi autonomi, molecolari e rivoluzionari, seppur inquadrati all’interno della struttura del sindacato. La rivoluzione sindacale, infatti, parte anche dalla loro deterritorializzazione. Non è un caso che il gruppo ragusano sia in strettissimi rapporti coi compagni dell’USB di Reggio Calabria, altri territori molto provati dai saccheggi padronali di Rosarno e di San Ferdinando. E il Comitato centrale dell’USB nazionale conosce bene il potenziale valore sindacale di simili forze interterritoriali. Il beneficio per la provincia ragusana, in termini di giustizia sociale ed economica, deriva anche dalle risorse di tali interconnessioni e riconoscimenti.
Ma la percezione che più mi colpisce di questi ragazzi, uniti da questi territori e soprattutto dall’amore per la giustizia sociale, sono le articolate competenze che ognuno di loro ha maturato in percorsi formativi diversi e sul campo. All’interno del gruppo Sindacato di Strada dell’USB di Ragusa, ognuno sa cosa fare, di concerto con tutti gli altri: Michele coordina i lavori ed incontra i lavoratori, braccianti e non; Giuseppe si occupa degli aspetti informatici; Marco degli aspetti legali; Khouloud, Gasua e Buba sono eccellenti interpreti; Veronica cura la comunicazione social; Coly intrattiene i rapporti con le varie comunità. Gruppo analogamente articolato è quello dei compagni e delle compagne dell’USB di Reggio Calabria.


Questa formidabile attività di lotta sociale fa esplodere pian piano le contraddizioni della Fascia Trasformata del ragusano: quel modello di lavoro è l’esempio lampante di una cultura padronale arcaica, in cui sfruttamento umano e ambientale, salario basso e abusi tengono in vita un sistema di morte da sovvertire. Come talpe di marxiana memoria, i militanti del sindacato di strada ottengono faticosamente i frutti del proprio lavoro: il riscontro arriva dalla crescente adesione delle lavoratrici e dei lavoratori del territorio, ma anche dal riconoscimento come attore rappresentativo da parte delle istituzioni competenti e delle autorità poliziesche. Riconoscimento che dovrà consolidarsi anche con gli altri attori sindacali storici, data la convergenza dei fini. L’esplosione delle contraddizioni è ormai nuda.
Non è un caso che l’USB nazionale abbia avviato un programma di “alfabetizzazione sindacale” e sponsorizzato la giornata di formazione di domenica 18 aprile, svolta proprio a Comiso e a Vittoria (entrambi comuni della provincia di Ragusa). La tragica morte di Fodye Djaanka avvampa ancora le coscienze ferite degli amici e dei colleghi di lavoro. Ma anche chi non lo ha conosciuto è rimasto profondamente segnato da un incidente strettamente correlato alle pessime condizioni lavorative dei braccianti agricoli. Il tentativo di depistare le indagini sulla morte del ragazzo maliano non è altro che la sineddoche di un sistema produttivo corrotto che tenta di nascondere i drammi di lavoratrici e lavoratori già resi invisibili dalla burocrazia statale e dalla plastica delle serre.



Mentre la mattinata di Comiso è stata interamente dedicata alla formazione interna degli operatori sindacali dell’USB di Ragusa e di Reggio Calabria, attraverso l’approfondimento degli aspetti giuridici e sociali del lavoro, l’incontro pomeridiano è stato riservato agli stessi braccianti stranieri. La fascia più debole dei lavoratori che la Federazione del Sociale dell’USB Ragusa conosce bene. «Incontri come quello di oggi sono essenziali contro lo sfruttamento dei braccianti stranieri che lavorano nelle nostre serre e nei nostri campi» dice Michele Mililli, responsabile della Federazione del Sociale e membro del Coordinamento dei Lavoratori Agricoli dell’USB Ragusa. «Spiegare cosa sia una busta paga, il salario minimo garantito, la tutela dei diritti costituzionali del lavoro» continua Michele «significa emancipare tutta quella fascia vulnerabile dei lavoratori migranti contro gli abusi padronali. Lottare insieme con questi ragazzi significa anche difendere e preservare i diritti di tutti i lavoratori presenti nel territorio. Diritti, va ricordato, sempre più violati ed erosi da politiche reazionarie nazionali. In programma abbiamo altre iniziative, questo percorso si avvia alla sua espansione. Siamo molto motivati, riusciamo a conquistare tra mille difficoltà e insidie la fiducia dei ragazzi. Noi parliamo con le istituzioni per palesare i loro problemi, qualora non fossero chiari! Abbiamo manifestato per nostro fratello Fodye, abbiamo parlato col comune di Vittoria per risolvere il problema delle residenze, siamo già andati a parlare col prefetto e ritorneremo. A noi tutti non manca né la forza né l’entusiasmo di lottare. È una dichiarazione di amore alle comunità di questo territorio, di cui noi facciamo parte».


«Purtroppo analoga situazione la viviamo in Calabria» afferma amareggiato Peppe Marra, responsabile della Federazione del Sociale dell’USB di Reggio Calabria. «Tanti ragazzi sono tagliati fuori dalla mera assistenza sanitaria, non esistono per le autorità poiché le stesse, inspiegabilmente, non assegnano i documenti necessari. Si ha anche la disarmante sensazione di un clima diffuso di distacco e violazione dei diritti dei lavoratori, complice tutta la società civile, insopportabilmente impassibile».
Uguale la sconfortante descrizione della situazione dei braccianti stranieri che lavorano in Calabria data da Daudé, militante della Federazione del Sociale dell’USB di Reggio Calabria: «Da anni vivo, lavoro e mi occupo dei miei fratelli e colleghi di Rosarno. Lì non è cambiato proprio nulla. La rivolta del 2010 sembra un evento lontanissimo, forzatamente dimenticato. Le condizioni igienico-sanitarie sono terrificanti, quelle lavorative anche peggio per quanto possibile. Siamo tagliati fuori dal mondo civile, non abbiamo trasporti, istruzione, assistenza. E si continua a morire nei campi. L’esasperazione è nell’aria, credo sia solo questione di tempo prima che i lavoratori, disperati, si ribellino di nuovo a un simile sistema disumano».



Durante l’incontro si è rivolto ai ragazzi anche Stefano Gianandrea De Angelis, dirigente del Coordinamento dei Lavoratori Agricoli e della Federazione del Sociale dell’USB nazionale. «Spiegateci quali sono i vostri problemi e risolviamoli insieme» asserisce Stefano, «Smontiamo insieme il mito secondo cui voi rubate il lavoro agli italiani! Voi siete questo paese e il sistema ha bisogno di voi. Il padrone e il capitale ha tutto l’interesse di tenervi assoggettati a questo sistema intollerabile. L’invisibilità di un uomo, di una donna, di un minore è funzionale ai profitti poiché tale situazione annulla i vostri diritti. Diritti che dovrebbero far parte, ormai, al patrimonio genetico degli italiani ma che invece arretrano costantemente, cedendo alle illusorie sirene razziste di chi si alterna in parlamento».
Il giallo intenso di questa giornata mi porta indietro nel tempo, penso a chi ha lottato ed è stato barbaramente ucciso mentre lottava per i propri diritti. Complici forse quella targa di Comiso dedicata a Paolo Vitale, forse anche quel clima un po’ da anni Cinquanta degli incontri. Ma le lotte dei lavoratori italiani hanno ceduto il passo ad almeno due decenni di riforme sciagurate del mondo del lavoro. Adesso la forza rivoluzionaria sembra appartenere a questi lavoratori stranieri che hanno sete di giustizia ed equità. Occorre ricominciare proprio dalle fondamenta della lotta sindacale.
Già con la mente ci si prepara per l’imminente 25 aprile e la manifestazione di giovedì 29 aprile in prefettura contro la sanatoria-truffa dei lavoratori stranieri.
«Siamo solo all’inizio» non sono soltanto le parole di Gasua, sono anche il desiderio di tutti noi.


