di Giulia Caruso
“Tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse”. Così parlava Zarathustra, così scriveva Nietzsche fornendoci gli strumenti per comprendere e riflettere su una visione ciclica del tempo e della storia.
Ed è alla luce del mito dell’eterno ritorno, ritorno non dell’eguale ma del differente in quanto essere-in-costante divenire, che ripensiamo ai fatti degli ultimi giorni, all’ennesimo atto di violenza cieca, manifestazione di una guerra asimmetrica che da oltre 70 anni vede contrapporsi uno Stato che potremmo definire in-atto in quanto occupante, Israele; ad uno Stato in-potenza in quanto occupato, o anche detto a “riconoscimento limitato”, la Palestina.
Due stati ma una sola terra, da un lato promessa, dall’altra espropriata; due stati e due diritti: quello di esistere e quello di r-esistere.
In entrambi i casi è necessario avere dei confini ben definiti, perché è solo attraverso questi ultimi che si può godere dell’altrui riconoscimento e perché è solo entro questi confini che il diritto sembra potersi esercitare veramente.
Pertanto, è solo attraverso di essi che è possibile esistere e r-esistere.
E allora i confini li creiamo, o qualcun altro lo fa per noi, li imponiamo o ce ne appropriamo e lo facciamo con la forza e con la violenza. Ma quel che è peggio è che a furia di delimitare, qualcuno resta sempre fuori dalla linea immaginaria. E allora diventa il nemico oltre la barriera, anzi, oltre la frontiera.
Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è il risultato di qualcosa che potremmo definire “apoteosi del nazionalismo”: che in un caso si manifesta come ideologia di liberazione di una nazione, di fatto, oppressa; mentre nell’altro caso emerge come ideologia della supremazia di una nazione rispetto all’altra.
Forse è vero quel che sostiene il filosofo Giorgio Agamben, e cioè che una delle prerogative fondamentali della sovranità, espressione dello Stato-Nazione, risieda nella produzione della nuda vita. Quella stessa nuda vita dell’Homo Sacer che ha rappresentato per secoli la condizione del popolo ebraico, considerato “uccidibile e non sacrificabile”, appartiene oggi anche ai civili palestinesi, inclusi attraverso la loro stessa esclusione in uno stato di eccezione perenne, legittimato dalla guerra perpetua.
Finché l’ideologia accecherà la vera ragion di Stato e finché quest’ultima non consisterà nell’esercizio ordinario ma straordinario del potere per la conservazione dello Stato stesso; finché non daremo alle realtà il giusto nome, confondendo arbitrariamente sionisti, ebrei e israeliani; civili e “terroristi”; forze di difesa e forze di occupazione; scontri e repressione; antisemitismo e antisionismo; fino a quando avremo bisogno dell’esclusione dell’altro per l’affermazione di noi stessi, allora la nuda vita non cesserà di esistere e il “paradosso della vita” non avrà fine. Un paradosso che scaturisce dal pensare all’esistenza ora in termini di zoé, di vita biologica, ora in termini di bìos, di vita qualificata, politicamente e socialmente. Così, ogni volta che cercheremo a tutti i costi di difenderla ne sacrificheremo comunque una parte. Che sia la nostra o quella altrui o entrambe.
Sarebbe più utile, come suggerito da Agamben, concepire una “forma di vita” che sia unica ed indivisibile, impendendo al linguaggio di separare ciò che per natura è inscindibile dalle sue parti e che possa così sfuggire al bando sovrano.
© Ph Giulia Caruso, Gerta Human Reports (2021).
Ottima disamina dell’eterno conflitto israelo-palestinese. Un bel discorso che invita a riflettere e a meglio comprendere ciò che succede dall’inizio della creazione dell’umanità a oggi. L’uomo non potrà mai nascondere la sua indole animale di sopraffazione e di conquista continua su ogni cosa. La meschinità è purtroppo inscindibile nell’animo umano, possiamo e dobbiamo solo imparare a capirla, controllarla e quindi soffocarla.
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Ottima disamina della eterna questione israelo-palestinese. Articolo che fa riflettere parecchio.
Personalmente credo che il problema risieda nell’indole meschina del genere umano. Dall’incapacità dello stesso a percepire i limiti che l’ ignoranza, causa e fonte di tutti i mali del mondo, come ammoniva Giovanni verga, produce nei rapporti tra gli uomini. Lo “schierarsi” appartenendo a diverse fedi o religioni ha prodotto nei popoli solo astio e guerre. Il tutto in nome di un presunto Dio diverso dall’altro. L’umanità deve affrancarsi da questi limiti, solo così può aspirare a una convivenza pacifica e più spirituale.
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