BLACK LIVES MATTER – CATANIA: IL RESPIRO DEI MOVIMENTI CONTRO L’ASFISSIA DI STATO

Articolo di Davide Casella

Foto di Roberto Fuzio

Razzismo e sicurezza. Un doloroso connubio, risaltato così violentemente nel drammatico carosello che stiamo vivendo, che ha conquistato la scena sociale e politica mondiale. Non accadeva da almeno un decennio che un fenomeno scaturito da un insopportabile crimine scuotesse le coscienze degli individui così profondamente. Ci si è finalmente svegliati, non sappiamo per quanto tempo ancora, da un torpore accecante che non rendeva incredibilmente riconoscibile il più odioso ed infame dei problemi: il razzismo mutuato dalle forze dell’ordine e dagli apparati istituzionali. Istituzioni che, anche in questo caso, grottescamente, invece di modificare le “regole” di un sistema liberticida, si limitano a condannare un “ordinario incidente di lavoro”. Incidente che non minerebbe, quindi, la risoluta ottemperanza della “sicurezza”, garanzia mendace del Leviathan verso i propri sudditi.

L’atto di inaudita violenza contro un uomo afroamericano è inaccettabile tanto quanto l’esistenza di un apparato istituzionale razzista e mistificatore, al cui soldo scagnozzi legali possono fregiarsi di delitti degni dei peggiori schiavisti confederati.

Ricercare le cause scatenanti nella crisi economica scaturita dalla pandemia e dall’emergenza sanitaria in corso, potrebbe essere l’ennesima scusa di facciata, penosa ed insopportabile, per scagionare un sistema metastatico mondiale che ammorba la Libertà e l’immanenza della Moltitudine.

La morte di George Floyd, giustificata dalle istituzioni statunitensi incarnate dalla faccia pulita, bianca, di un poliziotto americano che si muove e ammicca alla videocamera come un rassicurante energumeno hollywoodiano, non è diversa da quella altrettanto tragica di Federico Aldrovandi, o da quella di Stefano Cucchi, o quella di Giuseppe Uva o Riccardo Magherini. Non è diversa nemmeno dai “pestaggi per la sicurezza e l’incolumità pubblica” di Rodney King nel 1991 o dei manifestanti torturati ed inermi della scuola “Diaz” di Genova durante il G8 del 2001. Nessuno di loro ha potuto respirare, mentre moriva o veniva pestato e seviziato. Manca il respiro anche quando le sentenze condannano o assolvono gli attori istituzionali coinvolti. Non ha respiro nemmeno l’Anonimo che, in questo momento ed ovunque nel mondo, soffoca sotto le manganellate, le armi o il ginocchio di una qualsiasi divisa di chissà quale colore. Non è morte diversa anche se l’aguzzino in divisa avesse avuto altri tratti somatici, fosse stato africano, asiatico, semita o avesse parlato swahili o mandarino.

Non possiamo e non dobbiamo credere che la morte di George abbia un valore aggiunto rispetto ad un altro essere umano assassinato da uno stato, in nome dello spauracchio della sicurezza. Ma ciò che pone la sua morte in un piano diverso è, banalmente, proprio il colore della sua pelle. Come accettare l’idea eidetica di quell’immagine violenta in cui, un “imparziale” servitore dello stato, si comporta come il più sadico affiliato del Ku Klux Klan? Come negare un problema razziale diffuso in seno alle forze di polizia? È fuorviante credere che sia un problema tutto americano: accade ovunque. Fresche sono le notizie di crimini di polizia in Francia, ad esempio, o in Sudamerica, in cui a perdere la vita sono uomini dalle chiare origini africane. È sconfortante sapere che, potenzialmente, il crimine razzista delle forze dell’ordine è pronto a saltar fuori anche dove sembra non essere evidente, ma cova sotto l’immondizia populista che certamente alimenta un’idea di stato violento il cui dominio è interiorizzato nella coscienza dei sudditi.

Sicurezza già inocula insicurezza, confini, violenza: è lecito-non è lecito, è opportuno-non è opportuno, entri-esci, libero-detenuto, sano-malato, addomesticato-selvatico. Normato-escluso, pericoloso. Il concetto di sicurezza istituzionalizzata e statuale sembra più la blasfema parodia della Libertà, l’esatto opposto di ciò che si ratifica e proclama. Questa sicurezza sembra voler garantire la nostra Libertà, ritmando ciclicamente la nostra vita quotidiana anche con drastiche violazioni costituzionali che soccombono a ginocchiate e manganellate. Le manifestazioni di forza e di garanzie istituzionali più evidenti ed osservabili.

Ma se sicurezza è Libertà e Libertà è vita, come può assumere connotazioni mortali? La nostra sicurezza, Thanatos della vita, annulla con Hypnos ogni desiderio di Libertà. Si ha la percezione di cedere passivamente spazio allo stato a scapito dei Diritti: di questo spaventoso ed incontrollato surplus di sicurezza (ipnoticamente voluta dai sudditi, prepotentemente concessa dal Moloch!), ogni stato ne approfitta con la garanzia presupposta di pace ed incolumità per i propri cittadini (escludendo così, de facto, lo straniero), attingendo gratuitamente dal calderone del bios e svuotandolo della Libertà che ci è connaturata. Marxianamente, quindi, ogni stato si arricchisce di prerogative tiranniche sempre più a scapito della Moltitudine che s’impoverisce, a sua volta, delle proprie prerogative individuali e libertarie. Ogni molecola, ogni individuo non sa più a chi cede gratuitamente i propri Diritti, retrospettiva resa ancor più complessa dalla commistione tra istituzioni ed abnormi gruppi di capitali transnazionali.

Ogni stato, ogni organismo istituzionale puntano, per voglia di potenza, a diventare un “super-stato”, un “super-apparato” (come l’Interpol), dovendo fare i conti, però, con lo schianto dell’eterno ritorno dell’“insuccesso ponderato”. Le bombolette dello spray urticante della polizia di Hong Kong non riescono ad accecare la voglia di Libertà delle migliaia di manifestanti che quotidianamente protestano nell’isola asiatica. Proprio Hong Kong non deve trasformarsi nell’Isola dei Lotofagi e far dimenticare, quindi, il fallimento che ogni stato, in ogni epoca, deve affrontare, impossibilitato per sua stessa natura a garantire sicurezza, pace e benessere. La magnifica foto del manifestante-arciere, con la maschera antigas per vedere e respirare, l’arco ancora teso un attimo prima di vibrare le tensioni raccolte dai soprusi del regime, rappresenta e sintetizza egregiamente secoli di contraddizioni. Fumogeni ed idranti non annebbiano più la vista di chi si accorge, al risveglio, di essere stato usurpato della propria Libertà.

Occorrerebbe cambiare la storia passata: la dialettica negativa sullo stato, la sua natura ed il suo ruolo, sopperirebbe a quel deficit del sapere che autorizza platealmente l’abuso della forza istituzionalizzata da parte dei governi e delle forze dell’ordine.

Da questo teatro degli orrori e dei fallimenti nasce, e non può non nascere!, l’attuale Rivoluzione antirazzista: essa assume importanza globale in quanto motore di una nuova rivolta sociale e trasversale. Si addossa l’incarico di essere punto di svolta ed ispirazione, dopo tanti anni, per ogni nuovo Movimento antagonista che verrà. Se “Vietato vietare” e “L’immaginazione al potere” saranno la cornice consolidata di ogni Rivoluzione sociale moderna, il “We are 99%” dei Movimenti Occupy del 2011 sembra già lasciare spazio ai più recenti “Black Lives Matter” o “No justice no peace”. La fortuna di uno slogan connota un Movimento e ne determina la durata nel tempo. Sostanzialmente fa la storia, modificandola.

Il legame dei Movimenti dovrebbe favorire il legame di classe, cioè una base militante fluida, veramente libera da vecchi schemi semantici, soprattutto liberata da stantii legami politici istituzionali ed economico-produttivi, fautori del perpetrarsi di pratiche razziste e disegualitarie.

La Libertà diffusa e spontaneamente organizzata la vediamo giorno dopo giorno, dalla differenza razziale, religiosa, sociale ed economica dei militanti al terreno di scontro delle proteste. Le immagini non mentono mai, diversamente dalle loro interpretazioni. E le immagini narrano che le proteste di piazza si concatenano da New York a Pisa, da Brescia a Flint, da Bruxelles a Tel Aviv.

Avanguardie come architravi di immaginazione ed accessibilità alla Libertà militante e combattente per i Diritti e contro il razzismo cognitivo e produttivo nascono e si rinnovano velocemente in molti regioni del mondo. Forse ancora non basta, poiché razzismo e discriminazione sono ovunque esista uno stato. L’abbattimento del concetto di “minoranza” garantirebbe la sopravvivenza delle stesse.

L’esperienza delle Primavere arabe risplenderebbe di luce nuova se venisse rilanciata sotto questa nuova prospettiva, portata avanti da nuovi giovani, arabi e non, che si uniscono alla nuova lotta.

L’Avanguardia deve essere eternamente giovane per poter modificare la storia; non può essere immobile, ma un continuo mutamento centrifugo anarchico. Aperto e replicabile nella sua unicità del presente in ogni parte del mondo.

Una Rete amica di supporto aiuterebbe certamente la ricomposizione, la ristrutturazione e la collettivizzazione del Desiderio inteso come attuazione di pratiche trasformative per l’eversione dal quotidiano delle catene. Il bisogno di sicurezza, in effetti, impone sostanzialmente angoscianti manette invisibili asfissianti: il Desiderio di evasione brilla anche attraverso le mille schegge di una vetrina infranta, simbolo in tale situazione di paura liberata e rabbia incondizionata.

La collettivizzazione della vita dei Movimenti rappresenta la concreta liberazione della potenza costituente dei militanti e dei manifestanti.

L’Etica dell’immanenza sarà dottrina della liberazione e costruzione del mondo, unica potenza possibile e traguardo. L’infinitezza del traguardo può essere organizzata dall’azione etica dell’uomo, dal nostro operato politico potente e costituente della liberazione umana.

Etica mai appartenuta alla sinistra istituzionalizzata e di apparato che si è resa complice della liquidazione e messa al bando del conflitto delle parti, delegittimando tutto ciò che può essere comodamente definito “più a sinistra” della sua stessa posizione concordata. Un modello pacificato di welfare di sistema ha rinnegato ogni istanza egalitaria ed antirazzista, in quanto promotrice degli stessi meccanismi in antitesi con le aspirazioni dei Movimenti. Di contro, legittima l’intervento e l’uso sproporzionato ed illegale della forza degli apparati di polizia, sempre in virtù di garanzie ben note.

La pratica dell’emancipazione antirazzista passa attraverso la visione migliore dello stato, quello fondato sulla massima espansione della Libertà, del movimento e dei Movimenti, e non quello che ne limita la potenza degli individui, sacrificandoli alla guerra sociale in nome della sicurezza. La sua abolizione, quindi, è Desiderio ontologico poiché permetterebbe davvero la destituzione di meccanismi economici e sociali razzisti. Abbattuti ed imbrattati come gli spauracchi bronzei destituiti dai loro piedistalli di marmo, soffocati dalla nuova umanità moltitudinaria.

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