LA NARRAZIONE, LE NOTE, LA GIUSTIZIA, LA LOTTA: CRONACA DELLA CRITICA CRITICA DELLA TRE GIORNI LEGHISTA A CATANIA

Catania, domenica 4 ottobre 2020

Articolo di Stefania Mazzone

Foto di Angelo Di Giorgio

Foto di Davide Casella

I libri raccontano storie: un testo per i più, le note per i pochi. Un articolo d’informazione e riflessione non ha note, dunque deve raccontare le note di un evento e le foto ne devono essere la documentazione. Nelle note, in genere, si racconta un’altra storia, rispetto al testo: le une e l’altro sono storiografia, ovviamente, la storia è presente agito. Ma la storiografia delle note è la coscienza critica della narrazione, la narrazione meditata, la criticità dell’interprete, la nudità del re. 

E allora proviamo a scrivere il testo della narrazione dei fatti di Salvini a Catania di ieri, intercalandone le note critiche ed esplicative. Un ex ministro razzista, decisamente di destra, populista, amico di tutti i nazifascisti del mondo, omofobo, incolto e volgare viene in udienza a Catania dove un sostituto procuratore democratico lo indaga per sequestro di persona a seguito della politica dei porti chiusi durante il suo ministero. 

Nel caso specifico, il sequestro dei migranti impediti di scendere dalla nave Gregoretti, attraccata al porto di Catania. Si tratta della misura presa da Salvini con l’approvazione dell’intero governo di allora, che è lo stesso di ora e che non ha abrogato le misure liberticide precedentemente assunte. Il pm dimostra tutta la sua sensibilità democratica, dentro la medesima procura che mette sotto accusa le ONG che quei migranti salvano. 

La parte democratica e antifascista della città di Catania si incontra nei giardini dedicati ai magistrati buoni e organizza la giusta risposta di piazza alla tre giorni di propaganda che la Lega e la destra italiana con in testa la nemica vera di Salvini, Giorgia Meloni, organizza a Catania. Perché ci sarà l’invasione della destra italiana tutta a Catania dall’uno al tre ottobre e risponderà la sinistra tutta indicendo una manifestazione nientedimeno che regionale. Prevediamo rischi di scontri, scintille, grandi disordini in città. E dunque, il solerte Prefetto blinda il tribunale, le piazze, le strade, il porto, piazza container, bonifica tombini, controlla la situazione per cielo, terra e mare, impegnando risorse e incasinando ulteriormente una città che, immaginiamo, si dividerà tra Salvini e l’opposizione.

Ci dobbiamo essere, e come agenzia di stampa e come sinceri democratici. Bisogna avere accredito di stampa, altrimenti non ci faranno avvicinare al tribunale, manco fosse il processo di Norimberga ma, temiamo, in questo clima che immaginiamo arroventato di odio e antagonismo politico, potremmo avere problemi anche a fotografare la manifestazione. Il nostro direttore chiede gli accrediti con diverse PEC ad un fantomatico indirizzo “@carabinieri.it”… Nessuna risposta… La tensione sale! Ovviamente, tra la manifestazione dei leghisti e quella degli antifascisti hanno messo in mezzo piazze, transenne, blindati, tenute antisommossa, caschi, manganelli, zone rosse… 

Prepariamoci al peggio, chi di noi è stato a Genova nel 2001, sa di cosa parliamo. Nel frattempo, sotto silenzio, si tiene uno di quegli incontri culturali che la storia ricorderà come si ricorda la conferenza di Vienna del 1935 in cui Husserl espresse il suo pensiero sulla crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Con un invito riservato e personale, firmato Alessandro Pagano (vice presidente del gruppo della Lega al Parlamento), l’avvocato Baruch Triolo (presidente della Charta delle Judeche di Sicilia, non riconosciuta dall’UCEI) ed Attilio Funaro (presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica), pochi fortunati (da Matteo 22:14 “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”) riescono ad assistere alla prestigiosa conferenza: “Ebraismo e multiculturalismo: quale futuro per le nostre radici in area mediterranea”. Attenzione, si specifica nell’invito che per l’ebraismo interverrà Baruch Triolo, per il multiculturalismo il noto mondialista Giancarlo Giorgetti, vicepresidente federale della Lega. “Con la Lega c’è affinità culturale”, ci dice Baruch Triolo che, evidentemente, non ricorda le polemiche volgari ed ignobili della Lega contro Liliana Segre, o non considera abbastanza ebraica la cultura di Liliana Segre o, ancora, non è informato delle auliche odi che l’Assessore regionale alla cultura in quota Lega (ma la Lega non è sicura di conoscerlo), Alberto Samonà, ha dedicato alle SS naziste. Versi del tipo “Guerrieri della luce generati da padre antico e dalla madre terra”, e ancora “Monaci dell’onore”. Della serie: meglio un Nobel per la letteratura al Nostro Assessore. E Giorgetti prende alla lettera l’affinità con l’ebraismo di Triolo, “tant’è che, mentre Matteo Salvini è a comizio a San Giovanni la Punta, inizia citando le parole del filosofo e teologo ebreo Martin Buber e il dialogo tra Marcello Pera e l’allora cardinale Ratzinger sul mancato riconoscimento delle radici giudaico-cristiane nel preambolo della mancata costituzione dell’Ue” (cito da un articolo estremamente esplicativo di Fernando Adonia, inviato di Live Sicilia per l’evento).  

Ma tu guarda Giorgetti, chi lo avrebbe mai immaginato. Io da ebrea, arrivo ad interrogarmi. Ma, ancora, riusciamo a sapere che l’ineffabile Giorgetti si sofferma in una digressione colta sul nesso tra culturacoltivazione della terra e culto. Accidenti… E noi non c’eravamo… Non c’eravamo perché stavamo seguendo, con partecipazione, il flash mob delle compagne di “Non una di meno” di Catania, all’ingresso dell’ex Dogana dove i leghisti discutevano di ambiente e territorio con l’assessore all’ambiente di Catania, per capirci, “spazzatura”, che non ci sembra proprio un punto forte dell’amministrazione catanese. Noi, eravamo col flash mob. Una ventina di attiviste, un puntino viola all’ingresso del piazzale FCE, circondato da uno schieramento adeguato alla pericolosità della situazione di forze dell’ordine. Compagne femministe della prima ora, compagne femministe dell’ultima ora, in mezzo, il nulla. 

La città, stranamente, stante le previsioni di guerra, si dimostrava assolutamente indifferente a Triolo, Giorgetti, l’assessore alla “munnizza” e alle compagne che gridavano “Oggi Catania è tutta antirazzista”. I flash mob sono indubbiamente una cosa molto seria. E lo sono perché la loro forza non è nel movimento e nell’attraversamento nomadico della città, ma nel nomadismo della parola. Un fastidio epidermico si prova al grido delle compagne di “Allerta, Allerta, Allerta” che ben altra cultura ricorda, nonché all’espressione tipicamente fallologocentrica “Si fotte i gran milioni…” ma, figuriamoci, le parole sono pietre ed il dibattito è aperto. Rimane il fatto, imprevisto, che la città non c’è. Intanto, i leghisti discutono di immigrazione e lo slogan “col razzismo non ci hai fregato: chi stupra è l’uomo, non un immigrato” ci piace.

La kermesse della Lega preoccupa, tutti i leghisti parafascisti del meridione e non solo, saranno chiamati all’adunata. Niente, anche il 2 ottobre, all’intervista dell’ottima Maria Giovanna Maglie (sì, quella delle spese pazze, ma non è certo questo il suo problema) a Salvini si assiste ad una partecipazione di nessuna rilevanza rispetto alla chiamata per la “Pontida del Sud”. L’antagonismo catanese è assente, si prepara per il grande giorno del tre.

La mattina del tre ottobre, il giorno dell’udienza, quelli di noi che hanno attraversato diverse stagioni di lotta e di controinformazione, si svegliano all’alba, fanno ricognizioni, cercano di capire come si prospetta l’ordine pubblico e che tipo di presenza sarà possibile per documentare, fotografare. Alle 8 di mattina, dopo aver sistemato attrezzatura fotografica, tesserini e quant’altro, ci dirigiamo verso il tribunale, certi che l’operazione accredito al mitico, quanto enigmatico, indirizzo “pgct033636@carabinieri.it” sia andata a buon fine. 

E invece no, un solerte e gentile poliziotto ci chiede la risposta ricevuta dal medesimo indirizzo, ma noi non abbiamo ricevuto niente. Nel frattempo, altri passano perché “in lista”, come in discoteca. Non ci sembra né corretto, né trasparente: chi sceglie chi può entrare e chi no? E perché? Pazienza, cerchiamo di raggiungere i manifestanti della Lega, mentre, in piazza Trento, i nostri militanti se la prendono più comoda.

Ma chi sono questi sostenitori di Salvini che dichiarano di voler essere processati insieme al loro leader? Alcuni attempati militanti dell’Oltrepò, ma anche donne, sempre del Nord, e alcuni giovani che verosimilmente hanno usufruito di biglietti a prezzi preferenziali, insieme a militanti dall’aspetto fascioleghista locale, sebbene mai visti, comunque, pochi. Spicca qualche attempato uomo di provincia siciliano, precettato per l’occasione. I pochi cittadini di passaggio esprimono disgusto e fastidio per tutto l’evento e i vari leader. Si assiste all’aggressione verbale di alcuni militanti leghisti nei confronti dei cittadini contestatori e del solito Luca Bertazzoni, noto giornalista inviato di “Piazza Pulita”, che continua a cercare di fare cronaca in mezzo ai fascisti di tutta Italia e a rischiare ogni volta di prenderle seriamente anche per la sua semplice presenza. In questo caso, un omaccione gli rimprovera con le dita negli occhi il suo presunto “disfattismo” condito di disonorevole “diserzione” dagli obblighi di leva nei confronti dell’amata Patria. Un signore, dalla somiglianza imbarazzante con l’ottimo ex giocatore, ex allenatore, ex giornalista De Canio, non certo simbolo dello sport antifascista e partigiano, brandisce con disinvoltura e convinzione il sempreverde “non sai chi sono io”. Appunto, chi sei? A noi che facciamo informazione, per quanto costernati del non essere a conoscenza di cotanto personaggio, chiederemmo venia per saperlo.

A questo punto, temiamo di stare perdendo qualche azione diretta non violenta del fronte antagonista e, attraversando tutte le decumane possibili per aggirare due transenne, giungiamo in piazza Trento. Questa è una piazza che conosciamo, i militanti di una generazione ormai in via di estinzione si presentano all’appello con la solita aria da “noi siamo quelli giusti”, tanto giusti da non essere stati in grado di vedere altri che se stessi per intere generazioni di nuovi militanti che timidamente, ma efficacemente, riprendono parola e iniziativa. Purtroppo, dopo tanta supponenza, tanto elitismo da “famiglie buone della sinistra”, non appartenendo alle quali, in senso strettamente genetico, venivi emarginato e mobbizzato, il vuoto è inevitabile. 

 I tanti giovani di sicuri sentimenti democratici e libertari lottano con il loro essere contemporanei, per imparare da “quelli e quelle del giardino” parole, slogan, modi di stare in piazza, desueti e forse lontani da loro stessi. L’organizzazione più numerosa e presente, per esempio, si chiama “Potere al Popolo”, espressione ormai impraticabile anche per la splendida canzone di Patty Smith. Quale popolo? Esiste il popolo? Un’unica identità? E il nostro globalismo multiculturale? Il nomadismo che rivendichiamo per noi e per il mondo? Quale potere? Vogliamo essere soggetto di potere? Ma non dovevamo seppellirli con una risata? Non rivendichiamo l’impoliticità di Antigone? Il potere, non è patriarcale? E Foucault? No, va bene, ma allora il Marx dei Grundrisse? E Spinoza? Insomma, o si è antichi e si scelgono le antichità che non hanno fallito, o si è contemporanei e si manda a quel paese Marx, Foucault, Deleuze e pure noi, ma non solo noi.  I tanti giovani di Potere al Popolo sono troppo meglio degli slogan che gridano; tanto per tornare al discorso del testo e delle note, interrogati singolarmente sorridono su parole d’ordine e termini decisamente appartenenti ad altre ere ma, nella sostanza, sono molto più semplicemente e, dunque, biopoliticamente, alla ricerca di relazioni vere e libere in un mondo fatto di diritti civili, sociali e autonomia. Per meno di tanto, non si è giovani, non si milita.

Giusto! Loro sono il motore del cambiamento, se riusciranno ad essere soggettività non di popolo, ma di moltitudine meticcia. Scalda il cuore, umanamente, rivedere il compagno del Partito Marxista Leninista Italiano, per fortuna senza specificazioni di colori di linea, ma quanto danno si è fatto con queste cripto-sette alla crescita delle giovani generazioni? Forse nessuno, non se ne sono accorti. 

 E gli autonomisti che qualcuno, confondendoli con la stagione aurea degli anni Settanta, chiama “autonomi” e che, in sfregio al buon Canepa, rivendicano autonomia comunista all’isola non disdegnando quanti, autonomisti, stanno a destra? Il loro rappresentante in piazza si lancia in un accorato appello, quasi pasoliniano, ai poliziotti che, in tenuta antisommossa, con caschi e manganelli in mano, si appoggiano alle misere transenne. A loro chiede, col cuore in mano, di togliere i caschi, unirsi alla protesta, al grido di “siamo tutti Italiani”. Ma non era sicilianista? Insomma, scene di invito alla diserzione che non vedevamo dai tempi del Vietnam nei campus di Berkley. 

Ammettendo di essere di parte, il cuore si allarga alla vista del leader storico dell’anarchismo ragusano e siciliano, rappresentante di una generazione cresciuta con Franco Leggio, attivista di spicco dell’insurrezione antimilitarista del “non si parte”, all’insegna della cura del patrimonio bibliografico e documentale anarchico, riferimento per la cultura libertaria internazionale. Concezione libertaria forse un po’ datata, certamente da discutere, ma nella certezza dell’agibilità politica alla critica. 

Poi, qualche esponente, anche autorevolissimo, del PD che sgattaiola via cercando di non essere identificato, poco prima della rituale bruciatura di bandiera leghista e piddina. Qualcuno della CGIL che parla male della CGIL, qualcuno di Rifondazione Comunista che parla male di Rifondazione Comunista che, apprendiamo, esistere ancora. Qualcuno del Partito Comunista Italiano con cui si parla dell’età ormai raggiunta e del rischio che abbiamo di prendere il Covid, noi coetanei. La sempreverde Rete Antirazzista, eccellente nel tenere contatti, meno nella capacità di coinvolgere i migranti, soggetto reale della questione.  L’ottimo avvocato comunista, infaticabile difensore dei diritti civili e sociali dentro le aule e fuori. Tribuno delle lotte e certamente poco convinto della giustizia borghese, nelle famose note ci dice, come è giusto che sia, secondo una lucidità politica decisamente corretta, che comunque, il processo a Salvini, si profila come sbagliato sul piano del diritto e rischioso per l’agibilità politica di tutti. Ne siamo convinti. Lui che, con la pettorina verde e la scritta “Legal”, preso da una giornalista straniera per leghista, la corregge gridando: “Morirò comunista!”.

Tutti a parlare male di tutti i gruppi di cui si fa parte e di cui non si fa parte, ma stavolta con una nota diversa. Molte compagne, molti compagni ci hanno lasciati, e noi stessi non siamo più nella fase della razionalità rivoluzionaria e dell’emotività ribelle. Siamo sul viale del tramonto e ognuno di noi vede l’altro, magari avversario nello stesso campo, di una vita, come un compagno di strada. Non abbiamo nemmeno più la memoria per ricordarci bene perché ci detestavamo. È evidente che è il momento di lasciare esprimere i giovani, con le loro parole, il loro linguaggio, i loro tempi, i loro spazi. Cantano di odiare la Lega, tirano rotoli di carta igienica con la faccia di Salvini, sapranno, certamente, come ogni generazione, trovare le loro “armi” machiavelliane per creare quei “tumulti” che soli portano alla libertà e che non sono necessariamente quelle che noi conosciamo. Ma una cosa, giovani compagni, vi deve essere chiara da subito: invocare magistratura e manette vi mette dall’inizio su un crinale sbagliato e pericoloso. Governano i tribunali ed educano le galere solo nei regimi totalitari. Rivoluzionario rimane svuotare le galere, non riempirle. Meglio la carta igienica e la straordinaria arma dell’ironia e dell’uscita da un gioco le cui regole non riconosciamo, in tutti i sensi. 

Un adolescente con maglietta sponsorizzata politicamente dice ad un altro, durante il volo di carta igienica, di fronte alle transenne, fermo e con aria rilassata: “Bro’ non possiamo sfondare, ci sono le transenne…” – l’altro- “Fra’, iu, ppi sì e ppi no, mi metto dietro, lontano”. In questo dialogo un motivo di sorriso di fronte alla verità che è sempre più vicina a Charlie Brown che a Camilo Cienfuegos, ma anche la speranza vera che si possa acquisire consapevolezza del senso vero del “tumulto”.

Fin qui testo e note della giornata. 

Fuori testo e non pervenuta nelle note, un’assenza assordante in piazza, nei discorsi, ma speriamo non nei cuori e nelle menti: i tanti migranti morti nei deserti, nei mari, nelle galere, nei lager. Corpi senza nome, nomi senza corpi, corpi reclusi, corpi torturati, corpi stuprati, corpi assenti e urlanti quella giustizia che non è dei tribunali, non è dell’economia, non è della politica, non è della morale, non è dell’etica… è dell’informazione, è della lotta.

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