Articolo di Silvia Dizzia
Foto di Carlo Arcidiacono
Siamo in tempo di pandemia e a soffrire siamo in tanti. Qualcuno, nei mesi passati, per descrivere le sensazioni di questo periodo ha utilizzato diverse espressioni come “siamo in guerra”, “siamo in una dittatura”, “siamo tutti nella stessa barca”. Espressioni – tutte! – che racchiudono i vari stati d’animo di molti di noi ma che di certo non rappresentano la reale condizione di chi già una guerra la vive, di chi scappa dalle dittature o dalla povertà che attanaglia milioni di persone nel mondo. Stati d’animo, i nostri, che si differenziano anche dalle condizioni di chi prende una barca perché – al di là della pandemia – non ha altro modo per partire e raggiungere un Paese diverso da quello di provenienza; viaggio vietato da politiche capitalistiche discriminatorie e di polizia persino a coloro che vogliano intraprenderlo per vivere nuove esperienze altrove, mobilità come essenza stessa della vita.
Così mi vengono in mente le persone che partono dalla Tunisia per raggiungere l’Europa attraverso l’Italia. La Tunisia, un paese che ha concesso esilio ad un noto personaggio italiano. La Tunisia, luogo di mare e vacanze per noi occidentali. La Tunisia, luogo di accoglienza per benestanti pensionati italiani ed europei, ma anche pensionati che, pur percependo un reddito estremamente modesto, nel paese nordafricano riescono a vivere molto dignitosamente. Italia Tunisia in aereo; Francia Tunisia in aereo. Eppure, per chi è nato lì, le rotte inverse sono un ostacolo quasi insormontabile. E la crisi sanitaria pandemica che stiamo attraversando ha solo acuito pretestuosamente tale sbarramento. Chi vive in questi Paesi, di fatto, non può decidere liberamente di prendere un aereo e recarsi in Europa: anche se in possesso di un passaporto, non riuscirà ad ottenere un visto dalle ambasciate europee (compresa la nostra). La domanda per il visto comporta già un costo economico, e alle ambasciate poco importa poiché, burocraticamente, i soldi servono per espletare la pratica. Poco importa che l’esito, il più delle volte, soprattutto per determinate fasce della popolazione, sia negativo.
Il desiderio di partire è illimitato, per chiunque. Mai lo abbiamo capito così bene, anche noi che viviamo nella parte “libera” del mondo. Prendere un aereo, viaggiare in treno, raggiungere i propri familiari, curarsi o, semplicemente, viaggiare: tutto adesso è estremamente complicato, ci appare folle e “disumanizzante” dover rinunciare alla nostra libertà. La violazione della nostra libertà di movimento resterà, comunque, limitata per un arco temporale “definito”, fino alla fine della pandemia. Altra cosa, ben più grave, per chi viene dalla parte “sbagliata” del mondo: quelle che per noi sembrano “nuove” restrizioni provvisorie che decadranno (tutto sommato tollerabili per la nostra sicurezza), in realtà resteranno per loro in vigore, per altri motivi, un unicum che unisce il passato col futuro. E la crisi economica che ne verrà fuori peggiorerà il sistema discriminatorio capitalistico dominante: per i Governi europei priorità saranno i milioni disoccupati “di casa”, mentre si serreranno ancor più i confini extraeuropei, condannando a morte certa tante vite umane che proveranno la “traversata” ed a un maggior sfruttamento di chi riuscirà a valicare i confini di Stato. Rischi che comunque non fermeranno mai il desiderio di movimento degli individui: chiunque cercherà di realizzarlo a qualunque costo. Un barchino fatiscente, spesso, è la materializzazione del desiderio che servirà a navigare un mare di rischi. Pericoli che sembrano abbastanza lontani, visti dal punto d’incontro in una spiaggia tunisina, insieme ad altre compagne e compagni di traversata. Indossare un salvagente arancione sembra un bagliore di speranza nel blu del Mediterraneo. Una terra, l’Europa, che arriva dopo un mese dalla partenza, quando non si muore in mare aperto. E non di certo perché il viaggio in barca – dalla Tunisia all’Italia – duri tutto quel tempo, ma perché oggi in piena pandemia occorre la quarantena.
©Ph Carlo Arcidiacono, Gerta Human Reports
Dove attraversare il periodo di quarantena? Non nei Covid Hotel, a terra, come avviene per chi prende un aereo (e non ha il domicilio in Italia o dichiara di non voler andare presso la propria abitazione), ma nelle navi quarantena. L’ultimo muro creato dal governo in carica vuol mettere in atto dei respingimenti di massa proprio per chi proviene da Paesi considerati “sicuri”. Paesi che offrono tanto a noi occidentali ma che negano troppo a chi in quella terra è nato. Tornando alle navi quarantena, le persone che sbarcano vengono trasferite a bordo, a prescindere dal risultato del tampone, sia esso positivo che negativo (come se un vostro parente, “congiunto o meno”, risultato negativo al tampone venisse obbligato a fare la quarantena su una nave o in un Covid Hotel…).
Un non luogo messo in atto per fronteggiare l’emergenza sanitaria in (s)favore delle persone che decidono di migrare. Sul tema mi confronto con Imed Soltani – attivista a tutela dei diritti umani per l’organizzazione Association Terre Pour Tous, di cui è anche presidente – il quale conosce bene le motivazioni per cui molti giovani decidono di lasciare la Tunisia per andare in Europa.
Imed, infatti, ogni giorno si batte sul campo perché i giovani non lascino la loro terra con quelle modalità – mettendo a rischio la vita – ma che al contrario possano partire come chiunque abbia la possibilità di prendere un mezzo di trasporto sicuro. Imed, attraverso la sua azione, supportato da tante donne e uomini anche in Europa, chiede ai rappresentanti di Stato (tunisini ed europei) di affrontare il tema della migrazione con serietà e non solo in termini propagandistici. Queste partenze rappresentano la loro fortuna. La paura accompagna il loro viaggio e le loro famiglie. Ma è la loro unica possibilità per migliorare la propria vita. Come evocano i versi di Life Is Sweet, “e continuare… Non è soltanto una scelta ma la mia sola rivolta possibile” (di N. Fabi, D. Silvestri, M. Gazzè).
Fino a quando, dunque, non verranno creati canali legali che consentiranno la libera circolazione delle persone continueranno ad esserci partenze e arrivi fortuiti, e ci saranno sempre più morti. La soluzione a tutto questo, se si vuol considerare la migrazione un problema per la sicurezza degli Stati europei, potrebbe essere quella di consentire a ogni persona di ottenere un visto sulla base di condizioni meno rigide rispetto a quelle attualmente previste dalle normative europee. Un visto supportato da documenti personali. Ciò permetterebbe a ogni persona di partire e arrivare a destinazione in condizioni di libertà, scevra da ricatti, da violenze della criminalità organizzata e da ripugnante schiavismo.
©Ph Carlo Arcidiacono, Gerta Human Reports
https://deflussoblog.wordpress.com/2020/08/22/invece-di-chiudere-i-porti-si-imbarcano-i-migranti-di-paola-bruna-kenani/
"Mi piace""Mi piace"